L’editoriale di Novembre 2024: Api e Ambiente sotto attacco Editoriale by Apinsieme - 2024-11-182024-11-180 Massimo IlariClima, così la Cop-29 sta segnando la fine delle Cop. Emerge con forza che la lobby dei “fossili” dovrebbe essere fuori dalle Cop. E non certo solo per l’arrivo di Trump alla presidenza degli Stati Uniti – indifferente come è alla situazione ambientale – ma per un’indifferenza generalizzata alla Salute del Pianeta che riguarda i cosiddetti “Grandi” paesi industrializzati, con economie e mobilità incentrate su linee di sviluppo che sono incapaci – o più probabilmente non vogliono – di modificare. E l’esempio di questa incapacità è l’Europa. Si era proposta come testimone del cambiamento, poi sta fallendo tutti gli appuntamenti che aveva stabilito. Che ne è del Green Deal? Che ne è del blocco alla deforestazione? Che ne è delle misure sui cambiamenti climatici? Eppure da Berlino 1995 a Baku (Azerbaigian) 2024 – sede dell’incontro di novembre – sono passati quasi 30 anni di Conferenze fra Stati per fermare il cambiamento climatico e rendere più vivibile l’ambiente. Purtroppo, come abbiamo delineato nell’incipit, è più fumo che arrosto. A Kyoto nel 1997 e Parigi nel 2015 il punto più alto. E dopo? Buio pesto. Ormai è evidente che le Cop, per come sono, non sono più credibili e vanno profondamente riformate. Non lo dicono solo gli oltranzisti ambientali più irriducibili, quelli appartenenti all’ELP, acronimo di Esercito di Liberazione del Pianeta, ma non pochi rappresentanti istituzionali che lo hanno chiesto attraverso una lettera appello inviata alla Conferenza di Baku sui Cambiamenti Climatici.Il cambiamento climatico uccide e non possiamo fare finta di niente e girare lo sguardo altrove. Come è ridotto l’Ambiente è sotto gli occhi di tutti. Le Api sono fortemente investite dagli inquinanti che mettono in dubbio la loro sopravvivenza. I pascoli di fiori dove volano nascondono tossici pericolosissimi e assomigliano sempre più alla “mela” di Biancaneve. Fortemente toccata la produzione di miele che mette a rischio i redditi di migliaia di apicoltori italiani. E sì, il cambiamento climatico pone davanti alle api un habitat alterato e soprattutto mette in discussione la loro sopravvivenza. Si tratta di una sfida che non possono perdere – non possiamo permettere che la perdano – dato che viene messa in dubbio anche la nostra sopravvivenza. Ancora si fa finta di non comprendere che aver interrotto l’equilibrato dialogo fra api, fiori e piante, a causa di stagioni irregolari, scarsità di acqua e costante presenza di specie invasive di insetti contribuisce al loro declino. E proprio l’Italia non è un esempio di sensibilità ambientale e di amore reale per le Api. La prova? Non è difficile fornirla. A dispetto dei numerosi proclami, il nostro Paese ha infranto e continua a infrangere non poche norme che riconoscono ai cittadini il diritto a vivere in un ambiente pulito. Lo confermano le serie di procedure di infrazione in cui incorriamo e le inevitabili sentenze emesse dalla Corte di Giustizia Ue. Secondo una recente indagine, in un immaginario podio di non rispetto dell’ambiente, infatti, l’Italia è al sesto posto per numero di infrazioni commesse; sale al primo se si prendono in considerazione le procedure che si trovano nello stadio più avanzato, cioè quelle più vicine all’emanazione di sanzioni. Infrazioni che costano care in termini di multe, che vanno a pesare sul bilancio dello Stato e le tasche dei contribuenti. È il momento di elaborare piani seri per cambiare rotta, senza giocare a scaricabarile. È il momento di modificare strutturalmente la produzione agricola e il nostro modo di produrre in generale. Non possiamo sostituire le api – come abbiamo scritto nell’edito di ottobre – con dei robot, magari utilizziamo la tecnologia che serve a produrli anche per elaborare piani capaci di assicurare un Futuro ad Api e Ambiente. L’Italia è fra i Paesi con la più alta dipendenza energetica dall’estero. Le nostre necessità produttive vengono soddisfatte in notevoli quote dalle importazioni di combustibili fossili, ovvero gas, petrolio e carbone, mentre solo il 23% dalla produzione nazionale (soprattutto grazie alle fonti rinnovabili) ricorre a fonti rispettose dell’Ambiente. E ciò che succede in Italia capita anche in tanti altri Paesi. Risultato? Il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre, eppure i leader di Cina, Usa, India Francia, Russia, Germania e Ue non sono a Baku con proposte concrete per invertire questo “Cupio dissolvi”. Da Berlino 1995 a Baku 2024 quasi 30 anni di Conferenze fra Stati, per fermare il cambiamento climatico, sono servite a ben poco. A Kyoto nel 1997 e Parigi nel 2015 il punto più alto. E non può che essere così. “Il petrolio è un dono di Dio” si è sentito a Baku. Sarà pure un dono di Dio, ma è il caso di pensare più seriamente alle fonti energetiche alternative. All’incontro sono emerse le solite divisioni. Da una parte i leader dei paesi poveri e vulnerabili hanno chiesto ai cosiddetti “Grandi” di raddoppiare gli sforzi economici per riconvertirsi, mentre dall’altra i Paesi arabi hanno ribadito di non demonizzare il gas e il petrolio. Le decine di interventi di presidenti e primi ministri intervenuti hanno evidenziato che le divisioni emerse alla precedente COP, a Dubai, sono ancora vive. I paesi avevano allora adottato all’unanimità un appello senza precedenti per una transizione verso l’uscita graduale dai combustibili fossili. Si potrebbe dire “Campa cavallo che l’erba cresce”.l’editoriale di Massimo Ilari Share on Facebook Share Share on TwitterTweet Send email Mail Print Print