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Adotta un Apicoltore, un’Apicoltrice. Acquista Miele italiano

Nel numero di Febbraio 2021, con un articolo di Francesco Colafemmina, che riportiamo integralmente, abbiamo avviato la campagna “Adotta un apicoltore, Acquista Miele italiano”. Quale obiettivo? Valorizzare il nostro miele italiano, accrescerne la qualità, dare valore alle aziende che silenziosamente ogni giorno operano con passione. La locandina della campagna la trovate nella colonna di destra.
Ora vogliamo fare di più. Se volete personalizzare la locandina non avete altro da fare che inviarci una vostro foto in attività, nel vostro apiario. La inseriremo nella locandina al posto della foto iniziale e vi invieremo il file che potrete stampare e usare per la commercializzazione del vostro prodotto. Ovviamente nella locandina ci sarà lo spazio anche per inserire il vostro timbro aziendale. Avete storie da raccontare? Esperienze da condividere? scriveteci a info@apinsieme.it

Adotta un alveare? Tante domande…

Basta con le adozioni di alveari! I clienti devono solo acquistare vasetti di miele italiano. Alcuni interrogativi. Chi adotta un alveare salva veramente l’ambiente e partecipa in maniera decisiva all’impollinazione del Pianeta? Salva le api dall’estinzione?  Una querelle che vede contrapposti quanti dicono di sì e quanti dicono di no. Sul tema Apinsieme apre il dibattito e mette a disposizione le pagine della Rivista a quanti vogliono affrontare la questione.
Non è, invece,il caso di adottare un Apicoltore/Apicoltrice?

Cominceremo da un mito, quello di Aristeo, fondatore greco dell’apicoltura.

Il buon Aristeo, figlio di Apollo e Cirene, si innamora della ninfa dei boschi Euridice e inizia a inseguirla per farla sua.

La locandina iniziale della campagna. Nella foto l’apicoltore Andrea Lorusso, in uno scatto di Mark Fenner

Ma Euridice inciampa in un serpente che la avvelena. Per ritorsione le altre ninfe ammazzano tutte le api di Aristeo. Questi in lacrime chiede alla madre che fare e Cirene gli consiglia di sacrificare dei buoi. Dalle carcasse dei buoi nasceranno dopo nove giorni nuovi sciami di api, la cosiddetta bugonia (generazione dai buoi). Il mito naturalmente contiene una serie di raffinati insegnamenti: le ninfe che vivono negli alberi, le amadriadi, simboleggiano l’antica apicoltura effettuata semplicemente raccogliendo miele dagli alberi.

Ma questa apicoltura si scontrava con l’impossibilità di curare le api, quindi periodicamente gli alveari erano affetti da malattie: il serpente che ammazza la ninfa che vive nell’albero. Sicché la soluzione non può che venire dai buoi, quindi dall’allevamento. 

Le api rinascono dai buoi, ossia dalla trasformazione dell’apicoltura in una razionale pratica di allevamento “in stalla”, quindi negli alveari costruiti dall’uomo. 

Perché vi ho intrattenuti con questo divertente mito? Perché oggi la mitologia apistica sta percorrendo a ritroso la strada del mito. 

Forse presi dall’angoscia per le morie di api – ma come vedete l’apicoltura nasce mitologicamente da simili morie che ci sono sempre state – gli apicoltori oggi cercano strade diverse rispetto all’allevamento. Insomma, vorrebbero riarrampicarsi sugli alberi per fare miele…

Ma il più delle volte questo desiderio primitivista si infrange sulle necessità del mercato, quindi meglio ricorrere alla logica “chiagne e futte” di partenopea memoria. “

Chiagne” per le api che stanno scomparendo e “futte” con una nuova dilagante moda: l’adozione degli alveari.

Nell’anarchia del nostro settore è ovvio che tutto è concesso, ma alle volte occorrerebbe fare attenzione a questi dilaganti fenomeni.

Oggi si articolano in due o tre modalità. Da un lato ci sono i piccoli o piccolissimi apicoltori che invitano i loro clienti ad acquistare un alveare in cambio di qualche vasetto per sostenere la loro dedizione all’ambiente.  Poi ci sono i grandi, le grandi aziende che spammano il web di proposte per adottare un alveare anche a diverse centinaia di euro all’anno. E infine c’è chi promuove sistemi tecnologici per gli apicoltori (bilance e affini) in cambio dell’adesione a una piattaforma di adozione di alveari che funziona allo stesso modo (tanti soldi in cambio di qualche vasetto).

La prima pagina dell’articolo di Francesco Colafemmina. La foto ritrae l’autore.

Mettiamoci per un attimo dalla parte del consumatore. 

Perché uno dovrebbe spendere, per fare un esempio, 100 euro per avere in cambio 20 euro di miele (le cifre servono solo a dare un’idea della sproporzione)? Perché considera l’adozione dell’alveare una causa sociale ed ecologica, dunque vede questa spesa come un contributo solidale per l’ambiente e la biodiversità.

Ma quindi le aziende che promuovono questo genere di iniziative sono enti no profit come il WWF o Legambiente, oppure sono aziende, dunque attori economici che producono e vendono miele come tutti gli altri apicoltori?

Se sono aziende allora perché strumentalizzano la sensibilità nei riguardi delle api per invogliare i propri clienti non ad acquistare miele ma a sostenere i loro alveari? Immaginate se il consorzio del Parmigiano Reggiano lanciasse l’iniziativa “adotta una vacca”, con 300 euro hai 50 euro di Parmigiano e puoi monitorare tutte le volte che la vacca viene munta o va al pascolo. Qualcuno sicuramente pagherebbe per spiare la mucca Carolina che esce dalla stalla, ma tutti si domanderebbero: «scusa ma se devo comprare 50 euro di Parmigiano perché pagarne 300? Perché dovrei pagare altri 250 euro? Per vedere tutte le volte che una mucca fa muuuu…?».

Soprattutto sarebbe etico?

È etico per chi parla tanto di ambiente e biodiversità sfruttare la sensibilità ecologica collettiva non per vendere un prodotto consono a questa sensibilità, ma per spremere denari con l’adozione di alveari? Personalmente lo trovo immorale. Ma non c’è solo una questione di immoralità.

C’è un altro aspetto: la concorrenza sleale. Qualche cliente mi ha chiesto: «perché non dai anche tu questa possibilità?».

Gli ho risposto: «perché ve la offro già attraverso la vendita dei miei mieli!». L’acquisto di un vasetto al giusto prezzo consente all’apicoltore di prendersi cura delle proprie api e di preservare nei suoi limiti la biodiversità e la natura.

Non serve altro. E non è affatto vero che chi lancia simili adozioni sia più sensibile rispetto all’ambiente. È solo più furbo.

Di più, crea l’idea nel consumatore che le api siano delle specie di panda o di animali in via d’estinzione, e che il ruolo dell’apicoltore non sia quello di allevare in coscienza le api, e di produrre mieli di qualità, venduti ad un prezzo adeguato. No. L’idea trasmessa è che gli apicoltori siano degli assistenti sociali delle api, e le loro aziende delle ONG. Sappiamo tutti che così non è. E un po’ siamo anche stufi di sentirci dire “ma è vero che le api muoiono e stanno scomparendo?”. Ovvio. Ma sembra che queste morie servano solo a fare offerte ad enti no profit e ad adottare alveari di aziende profit.

In tutto questo del problema dei pesticidi, dell’agricoltura intensiva e dell’inquinamento non frega niente a nessuno. 

Chi ha le api è ovviamente consapevole di svolgere un fondamentale ruolo nell’ambiente, ma il miele lo si produce non solo per diletto e convinzione, ma – scusate se straccio il velo di ipocrisia che spesso ricopre il settore – per profitto.

E se non si riesce a guadagnare dal miele tanto vale cambiare mestiere. Se poi uno lo fa per casa e per gli amici è un altro paio di maniche. Ma allevare api, avere un allevamento di api, è cosa ben diversa rispetto a tenere due oche nel cortile. Anche io ho due oche nel cortile, ma non mi ritengo un “allevatore di oche”. 

E nell’allevamento non c’è nulla di male, perché è vero che va di moda il ritorno sugli alberi a mo’ di aborigeni australiani, ma l’apicoltura è costituita da un settore produttivo fatto di gente che ha ipotecato la casa per costruirsi il magazzino e il laboratorio e che a fine mese deve pagare affitti, mutuo e dipendenti, se ne ha.

Se vivessimo tutti in questa dimensione bucolica e naif finiremmo per camparci d’aria.

Ma mi rendo conto che per molti è facile predicare il primitivismo apistico conservando altre due o tre occupazioni complementari che garantiscono un reddito sicuro.

In tutto questo il richiamo va comunque fatto alle associazioni.

Perché le associazioni di categoria dovrebbero prendere qualche provvedimento in merito a simili iniziative che mirano a confondere e ingannare il consumatore.

E magari, invece di ignorare gli ampi traffici di mieli esteri commercializzati in Italia, avviare campagne nazionali per l’acquisto del miele italiano.

Valorizziamo i nostri prodotti, accresciamone la qualità, e diamo valore alle aziende che lo fanno silenziosamente ogni giorno, senza lasciare il settore in balia dell’anarchia creativa del “chiagne e futte” apistico.

(articolo di Francesco Colafemmina, Apinsieme n. 54, Febbraio 2021)

Apinsieme
Quelli che vogliono far volare insieme le Api

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