L’editoriale di Ottobre 2019 Editoriale by Apinsieme - 2019-10-072023-02-260 Tempi poco dolci per il mieleDi 73 milioni di euro sono diminuiti i ricavi degli apicoltori per la mancata produzione di miele e altri prodotti dell’alveare. Un vero disastro come abbiamo ampiamente documentato nei precedenti numeri di Apinsieme. Eppure, stiamo parlando di un settore dove l’Italia, segnala l’Ismea, occupa saldamente il quarto posto in Europa per numero di alveari (1,4 milioni, in aumento del 7% nel 2018 rispetto al 2017), dopo Spagna (2,9 milioni di alveari), Romania e Polonia (rispettivamente 1,8 e 1,6 milioni di alveari). Certo per quanto riguarda l’Italia occorrerebbe chiedersi la ragione per cui aumentino gli alveari e diminuisca la produttività e ne parleremo ampiamente nelle battute finali di questo Edito. E la produzione? Secondo le stime diffuse dall’Osservatorio nazionale sul miele, andrebbe oltre 23,3 mila tonnellate totali. La regione più produttiva? Il Piemonte, con oltre cinque mila tonnellate stimate nel 2018, seguita da Toscana con oltre tre mila tonnellate e da Emilia Romagna con oltre due mila tonnellate. Se poi si prende in considerazione l’Europa, il Vecchio Continente rappresenta il secondo produttore mondiale con un totale di circa 17,5 milioni di alveari e oltre 650 mila apicoltori. Un settore che non basta considerare solo per il valore economico, comunque di nicchia, ma di grande importanza per l’agricoltura, in quanto responsabile dell’80% delle impollinazioni dei prodotti agricoli. Eppure nonostante l’evidente disastro l’Europa sta ferma, immobile e non fa niente di sostanzialmente utile per risollevare un comparto che negli ultimi anni è in costante declino. Sembra che interessi poco il continuo calo produttivo di miele. Si vuole arrivare a un prodotto che avrà forti aumenti di prezzo, per trasformarsi così in un alimento per pochi intimi? Si vuole che gli scaffali dei negozi e dei supermercati italici sia dominato dal miele d’importazione? Si vuole che si venda miele proveniente da altri Paesi come se fosse miele italiano? Non vorrei che il miele e i suoi fratelli finiscano per essere trattati come l’informazione sui “Cibi che rischiano di scomparire per sempre”. Sono più di 10 anni durante i quali, a cadenza annuale, compare l’elenco di questi alimenti in via di estinzione, così da 3 siamo passai a 5, poi a 6 e 8, per arrivare ai 12 di oggi. Ci viene detto che scompariranno il cioccolato, il caffè, l’avocado, e che rischiamo di perdere il mais, il riso e il grano. Tutto qui, ma si capisce sempre meno il senso di quanto ci viene detto. Il prossimo anno i cibi che scompariranno saranno 12 e così via. Esattamente quanto accade per le Api e il Miele. Si genera l’allarme ma non si varano provvedimenti capaci di invertire la tendenza. All’inizio dell’editoriale ci siamo chiesti come è possibile che in Italia aumenti il numero degli alveari ma scenda la produzione di miele. I casi sono due o il totale degli alveari denunciati include anche molti hobbisti, in numero sempre crescente, che quindi sfuggono alle stime sulla produzione di miele che dipendono dai dati delle imprese (partite IVA), oppure a un crescente numero di alveari si associa un preoccupante calo della produzione ad alveare che può dipendere da diversi fattori, biotici (parassiti e patologie) e abiotici (cambiamenti climatici, pesticidi e antropizzazione). Noi di Apinsieme crediamo in realtà che tutte e due le possibilità siano vere e per certi versi si rispecchino l’una nell’altra: se infatti in questi anni abbiamo visto molti nuovi ingressi in apicoltura, mentre contemporaneamente aziende storiche lamentavano uno stato di crisi, tutti gli apicoltori, che siano hobbisti o professionisti, si trovano ad avere a che fare con una produzione pro capite ad alveare che ogni anno si riduce sempre più. È il momento non solo di porsi delle domande, perché da troppo tempo ce le stiamo oziosamente ponendo, ma anche di darci delle risposte e sviluppare delle azioni. Share on Facebook Share Share on TwitterTweet Send email Mail Print Print