L’editoriale di Febbraio 2019: Miele taroccato? Editoriale prima pagina by Apinsieme - 2019-03-022023-02-260 Il Miele? Un alimento che fra i consumatori ha goduto, sino a qualche tempo fa, di un alone di genuinità e bontà. Il risultato? «Boom del miele nel carrello della spesa degli italiani con un aumento del 5,1% sul valore degli acquisti nel 2017, spinto dalla svolta salutistica nei comportamenti alimentari degli italiani». Ecco quanto è emerso da un’analisi della Coldiretti su dati Ismea, divulgata in occasione della Giornata Mondiale delle Api del 20 maggio 2018, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU). Fiducia ben riposta? Certo, visto che si tratta di un prodotto delle api che vanta molte proprietà benefiche per il nostro organismo, a condizione che sia di buona qualità, come il Miele Italiano. Ma è in tutti i casi un prodotto sano e pulito come comunemente si crede ed ha sempre come origine l’Italia? È il caso di pronunciare un deciso NO. Uno studio ha messo in luce al contrario come un’alta percentuale del miele commercializzato nei supermercati e nei negozi sia in realtà in qualche modo alterato. Spesso, anche nei giornali generalisti campeggiano strilli come «E’ imperativo promuovere la qualità dei prodotti apistici e contrastare l’importazione di miele sintetico dalla Cina». «Il miele è un prodotto taroccato». «Il miele è pieno di antibiotici». Sovente anche il comparto apistico si fa ventriloquo di queste affermazioni. Tutte notizie, queste, che stanno arrecando un forte danno all’immagine del miele. Insistere troppo su messaggi a tinte fosche, senza cercare di spiegare come stanno effettivamente le cose e senza attuare le adeguate contromisure porterà a un ulteriore calo dei consumi che, in Italia, non sono poi così elevati. Tanto per iniziare a fare chiarezza, c’è da dire che a fronte delle 10.000 tonnellate di miele che vengono prodotte nel belpaese è elevatissima la nostra dipendenza dall’estero. Le importazioni, sempre nel 2017, hanno superato i 23 milioni di chili con un aumento di quasi il 4% rispetto all’anno precedente. E c’è dell’altro. Quasi la metà di tutto il miele estero in Italia arriva – afferma la Coldiretti – da due soli paesi: Ungheria con oltre 8 milioni e mezzo di chili e la Cina con quasi 3 milioni di chili ai vertici per l’insicurezza alimentare. Dunque, Ungheria batte Cina 8 a 3. Il nostro vulnus? È evidente. Produciamo poco e una parte del nostro miele finisce anche all’estero. È qui che dobbiamo mettere le mani, agire sui livelli produttivi, riorganizzare il settore. È di ciò che ci dobbiamo occupare, evitando di strillare alla luna. È andata a finire che alcuni Organismi di tutela inseriscono il miele fra il “cibo spazzatura”, alla voce ‘Miele tagliato’. Non vi indigna leggere: “Di miele si parla poco, ma è un prodotto adorato dalle agromafie a causa del fatto che in Italia, e in Europa, la domanda è molto superiore alla produzione. Quello italiano, molto pregiato, viene così «sostituito» da un prodotto proveniente dall’Est Europa, dalla Cina o dai paesi asiatici in genere. Ma il miele viene anche adulterato grazie a «tagli» con sciroppi di riso, mais, zucchero che ne gonfiano il volume a basso prezzo”. Non credo si possa restare a guardare nel più assoluto immobilismo. In Italia ci sono 1,2 milioni gli alveari curati da circa 45.000 apicoltori tra hobbisti e professionali, con un valore stimato in più di 2 miliardi di euro per l’attività di impollinazione alle coltivazioni. Troppo poco per scongiurare le massicce importazioni. Se vogliamo evitare che questi fatti penalizzino tutto il settore occorre chiedere maggiori controlli alle frontiere, lavorare in Europa per Direttive più conformi alla qualità. Lavorare per incrementare il numero di addetti ai lavori. Ciò che occorre evitare? Andare solo a caccia di finanziamenti per proteggere il Miele Italiano da quello che viene dall’estero. Che senso ha? Proteggere come? Ammettiamolo: si tratta di una strategia fallimentare e che non riuscirà a cavare un ragno dal buco. Magari ci sbagliamo: pronti a conoscerne il perché. Share on Facebook Share Share on TwitterTweet Send email Mail Print Print