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L’editoriale di Aprile 2018: Identikit dell’Associazionismo nazionale

Nel periodo che stiamo vivendo, anche per effetto degli strumenti digitali e delle modalità di aggregazione e comunicazione che ne derivano, assistiamo a una crisi diffusa in tutto il mondo occidentale delle Associazioni. Con il termine associazioni intendiamo ogni forma associativa: dalle associazioni di categoria ai sindacati; dalle fondazioni ai partiti. Ciò non significa, a nostro modo di vedere, che l’associazionismo abbia esaurito e perso la propria utilità e il proprio valore, ma per evitare che venga soppiantato da elementi più fluidi e flessibili, che però molto spesso sono inconcludenti o gestiti da figure di dubbia professionalità e serietà, è imperativo che una qualsivoglia associazione, per stare al passo con i tempi ed essere rappresentativa di bisogni e domande, debba modificare il proprio approccio con gli associati. È chiaro che a noi interessa assai di più prendere in esame la struttura associativa che si è data il settore apistico, più a livello nazionale che locale. Come è andata sino a ora?
Non credo che si debba essere molto soddisfatti, soprattutto perché a dettare l’iter non sono stati intenti comuni, ma un procedere in ordine sparso che dall’esterno può apparire inconcludente. La prova? Ci è capitato spesso, nel rapporto con la politica, di essere apostrofati come «divisivi e inconcludenti. Una vera Babele di opinioni», danneggiando così quanti le associazioni apistiche dovrebbero rappresentare. Uno dei settori a noi più vicini, quello agricolo ad esempio, è riuscito a darsi una struttura capace di interfacciarsi con i soggetti che dovrebbero proteggere la categoria.
Noi sembriamo eccessivamente privatistici, la rappresentanza si occupa solo del proprio orticello, senza cercare politi-che comuni con gli altri soggetti del comparto. Così può succedere che i finanziamenti rischino di non rispondere alle effettive esigenze produttive di chi il mestiere di apicoltore lo fa seriamente. In più latitano gli investimenti per favorire l’inserimento dei giovani e non si confutano le illusioni di molti che pensano sia facile ricavare un reddito con l’Apicoltura. La morale? Non ci si è mai messi intorno a un tavolo per trovare le soluzioni del caso. Come uscire dal tunnel? Sarebbe ingenuo auspicare una inedita unità tra le diverse associazioni presenti sul territorio. Allora, molto più modestamente, sarebbe opportuno che almeno una di queste associazioni nazionali (cercando di coinvolgere anche le altre) sia in grado di manifestare una discontinuità rispetto al passato, dimostrandosi attenta alle istanze più urgenti che arrivano dagli apicoltori.
Gli apicoltori chiedono (e lo diciamo sulla base di centinaia di messaggi e telefonate che riceviamo) alcuni servizi in più e un’assistenza più completa anche negli aspetti più ordinari del lavoro.
Chiedono tecnici apistici che sappiano rispondere allo sconcerto che provoca la diffusa mortalità degli alveari, cosa che non sempre avviene.
Chiedono di poter essere assistiti su molti aspetti normativi dell’attività, che nella complessità e nel disordine delle leggi italiane ed europee è sempre più difficile organizzare in conformità alle norme vigenti, mantenendo costi contenuti per le consulenze.
Chiedono maggiore formazione professionale, soprattutto quegli apicoltori in possesso di partita Iva e per i quali, indipendentemente dalle dimensioni, c’è un rischio di impresa e dunque vi è la necessità di venire puntualmente aggiornati sulla gestione sanitaria, sui nuovi prodotti farmacologici, sulle nuove tecniche e sugli impatti che tutti questi produco-no sulle colonie allevate.
Chiedono che il rapporto fra apicoltura e agricoltura sia sempre più stretto: si tratta di due mondi strettamente interconnessi.
Chiedono che sia aperto quel tavolo di lavoro, che manca, con le autorità nel quale confrontarsi sulle urgenze e lo sviluppo.
Richieste urgenti e da soddisfare: ne va il futuro delle api e dell’apicoltura tutta.

Massimo llari

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