L’editoriale: Novembre 2016 prima pagina Rivista Nazionale di Apicoltura by Massimo Ilari - 2016-11-072017-12-030 Miele italiano: la tendenza negativa nell’anno 2016 non solo è stata confermata ma si è anche notevolmente aggravata, con cali di produzione che a livello nazionale sono attestati, mediamente, attorno al 50/60% in meno, toccando in alcuni areali punte dell’80% La pagina per abbonarti Il calo della produzione di miele va inserito in un contesto che vede, innanzitutto, il declino (mortalità) delle api e degli impollinatori (come i bombi), incluse le specie selvatiche. Alla base del declino vi sono numerose cause: stress biotici e abiotici. Dunque, frazionamento degli habitat, carenze nutrizionali, pesticidi, patologie e avversità dell’alveare, cambiamenti climatici, talvolta pratiche apistiche scorrette. Tutti questi fattori, naturalmente, minano la salute degli alveari che, inevitabilmente, anche laddove riescano a sopravvivere, tra mille difficoltà, si dimostrano meno produttive. Bisogna partire dal fatto che vi è, lo dicono i dati, un calo progressivo di produzione di miele negli ultimi anni, tantoché basta frequentare ambienti apistici per rendersi conto che ogni anno, in primavera, ci si augura che l’annata sia migliore rispetto alla precedente. Invece, purtroppo, la tendenza negativa nell’anno 2016 non solo è stata confermata ma si è anche notevolmente aggravata, con cali di produzione che a livello nazionale sono attestati, mediamente, attorno al 50/60% in meno, toccando in alcuni areali punte dell’80%. Il fattore climatico, a detta degli stessi operatori del settore, quest’anno sembra aver aggravato la già grave situazione, compromettendo, ad esempio, il raccolto di miele di agrumi in Sicilia e di Robinia (Acacia) nel nord Italia: sono state le 20mila Partite Iva che fanno il mercato, alle quali è d’obbligo sommare le 23 mila di produttori per autoconsumo a paga-re danni pesanti. Il miele di acacia convenzionale è passato da 266 ad appena 91 tonnellate, il miele di agrumi è crollato da 54 a 35 tonnellate per la produzione bio e da 174 a 148 per quella convenzionale. Ciò non toglie, tuttavia, che le cause generali della mancata produzione di miele siano verosimilmente gli stessi fattori alla base del declino delle api, legarla solo a clima e pesticidi è riduttivo per spiegare il fenomeno e soprattutto non tiene conto di quanto nell’ultimo decennio il quadro sanitario in apicoltura si sia notevolmente aggravato e complicato, con gravi conseguenze per coloro che traggono reddito dall’attività apistica.Il crollo della produzione quasi certamente determinerà una crescita dei prezzi di circa il 20%. Sofisticazioni E non è tutto. Il calo produttivo rischia di facilitare la strada a nuove sofisticazioni alimentari, con miele proveniente da paesi extra Europei e, inevitabilmente, di qualità inferiore. E quali sono i paesi dove sono più elevate le contraffazioni? Senza ombra di dubbio, Cina e Bulgaria. C’è, in primis, la contraffazione che ricorre a sciroppi di riso che è problematico individuare: gli zuccheri che racchiude sono simili, e di molto, a quelli del miele e che anche le analisi isotopiche (le più adatte) non riescono a scoprire. Da non sottovalutare le contraffazioni attuate anche dalla Bulgaria. Primo perché si può miscelare miele e sciroppo di zucchero. Come fanno? O la miscela viene somministrata alle api come nutrimento durante il periodo del raccolto di miele, oppure si miscela direttamente nel prodotto finale: costi minori e massimo guadagno. Questa frode, però, si riconosce più facilmente con le analisi isotopiche. Ma questo miele bulgaro come fa ad aggirare le maglie dei controlli? Beh, ci sono degli operatori che chiudono un occhio e i controlli alle frontiere non sono abbastanza severi. Infine, c’è il sistema della triangolazione. Di che cosa si tratta? E’ una operazione mediante la quale del miele extracomunitario entra illegalmente in un determinato paese membro e si trasforma in comunitario. Può essere addirittura etichettato come italiano. Sono a rischio per tali operazioni anche paesi come Spagna, Belgio e Inghilterra che hanno controlli che lasciano a desiderare. Massimo Ilari, Direttore Editoriale Share on Facebook Share Share on TwitterTweet Send email Mail Print Print