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Una novità libraria: Coltivare piante mellifere

Un vademecum indispensabile per l’apicoltore ambientalista

Dal mese di marzo, dalla presentazione del prototipo ci avete spronato, incoraggiato ad andare avanti, a raccontare senza infingimenti la bellezza e le difficoltà del mondo apistico. Abbiamo apprezzato i vostri suggerimenti,  raccogliendo la sfida per la produzione di nostri prodotti editoriali. 

Iniziamo con il libro del professor Giancarlo Ricciardelli D’Albore e del ricercatore e fotografo Francesco Intoppa, presentandovi la parte iniziale dell’introduzione del libro “Coltivare piante mellifere, Edizioni Apinsieme”

aggiornamento 5 ottobre 2016 A Lazise il libro ha riscosso un grande successo. Se vuoi ordinare il libro scarica la locandina, compilala ed inviala a info@apinsieme.it oppure compila il modulo on line qui

 

 

(dall’introduzione del libro)

Per biodiversità si intende il complesso di tutte le forme viventi con le loro molteplici interazioni nell’ambiente. Essa rappresenta una eredità che la natura ci ha lasciato e non è ricreabile.

Pertanto, se viene distrutto, questo capitale sarà perso per sempre.

Quando l’ambiente cambia drasticamente, alcune forme non sopravvivono e vengono sostituite da altre più adatte alle mutate condizioni e alle reciproche interazioni (coevoluzione); se però viene meno la diversità, questo processo è precluso e si va verso l’estinzione di molte forme viventi (Lorenzetti, 1994).

Ripetuti incontri tra i maggiori specialisti dell’ambiente hanno messo in evidenza che, alla fine del secolo scorso, nel bacino del Mediterraneo solo la macchia e la gariga erano caratterizzate da una biodiversità accettabile. Le restanti superfici ne denunciavano invece una preoccupante povertà; anche perché la CE nel secolo scorso ha dato precise direttive agli agricoltori europei di ridurre significativamente le superfici destinate alle tradizionali colture foraggere (erba medica, lupinella, trifogli, ginestrino, ecc.) in favore delle monocolture (Williams, 1993 e 1994), per cui nell’agro-ecosistema è stata provocata una drastica riduzione della biodiversità.

Di questo stato di cose sta soffrendo molto l’apicoltura stanziale, già poco produttiva quando le foraggere erano ancora estesamente coltivate.

La specializzazione delle produzioni agricole ha causato lo spopolamento e l’abbandono delle zone di collina e di montagna, diventate terre marginali, quindi non più redditizie se sfruttate in maniera tradizionale.

Lo stato della tecnologia e della ricerca agricola è una delle componenti fondamentali del processo di marginalizzazione; lo sviluppo dei sistemi agricoli in Italia è avvenuto principalmente attraverso l’importazione e l’adattamento di modelli tecnologici elaborati, partendo da condizioni pedoclimatiche e socioeconomiche differenti dalle nostre. Tutto ciò ha contribuito alla marginalizzazione dei territori per i quali non esistevano pacchetti “tecnologici” appropriati: da qui l’esodo da queste aree, lasciate ad una agricoltura di scarso reddito e ad un probabile dissesto idro-geologico (Ciani et al., 1990 e 1992).

Sarebbe allora un ottimo intervento quello per il quale i terreni incolti per varie ragioni (terre marginali), le terre da forestazione, i terreni poco produttivi per le normali pratiche agricole, i terreni a set-aside con idonea copertura vegetale, potessero diventare anche “melliferi”. Una ricorrente lamentela da parte degli apicoltori è quella di non riuscire a produrre quantitativi soddisfacenti di miele. Le cause sarebbero, secondo loro, la scarsità di flora apistica disponibile e il tempo avverso. Pochi hanno capito che le produzioni scarse dipendono da numerosi fattori biologici ed ecologici e da una scarsa conoscenza della flora apistica.

Non molti, ancora, hanno compreso che il recente collasso degli alveari è un segnale chiaro che i medesimi sono al limite della sopravvivenza, non solo per i veleni con i quali vengono a contatto e per le patologie che devono affrontare, ma anche perché le famiglie sono sfruttate al massimo e non sono più in grado di difendersi, con conseguente perdita delle proprietà immunitarie.

Solo alcuni naturalisti hanno compreso che se i pronubi selvatici (che in molti casi sono più adatti delle api per alcuni servizi di impollinazione) si sono ridotti e quindi abituati a vivere in piccole aree indisturbate, come se fossero “riserve indiane”, qui li hanno cacciati anche gli apicoltori egoisti, interessati a sfruttare al 100% il territorio e la flora disponibile, insensibili alle esigenze dell’ambiente e dei pronubi medesimi (Banaszak, 1985 e 1992) (…)

 

 

Apinsieme
Quelli che vogliono far volare insieme le Api

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